L’integrazione dell’assistente virtuale Meta AI nelle app di messaggistica più utilizzate al mondo, WhatsApp, Instagram e Messenger, ha acceso un acceso dibattito nell’ UE. Al centro della polemica c’è l’impossibilità, per gli utenti, di disattivare completamente questa funzionalità, sollevando interrogativi su privacy e conformità normativa.
L’intervento dell’Europarlamento
A portare la questione all’attenzione della Commissione Europea è stata Veronika Cifrová Ostrihoňová, parlamentare slovacca di Slovacchia Progressista, che ha definito “inaccettabile” l’imposizione di Meta AI senza un’opzione di opt-out per gli utenti. Secondo l’eurodeputata, questo approccio potrebbe violare le normative europee in materia di protezione dei dati personali.
Meta, dal canto suo, sostiene che l’assistente sia opzionale e che non abbia accesso alle conversazioni private su WhatsApp. Tuttavia, emergono perplessità sulla raccolta dei contenuti pubblici da Instagram e Facebook, utilizzati per addestrare gli algoritmi di intelligenza artificiale.
I nodi normativi: AI Act e precedenti europei
Il cuore del problema riguarda la conformità di Meta con l’AI Act, la normativa europea pensata per regolare l’uso dell’intelligenza artificiale sul territorio dell’Unione. Proprio per questo, Ostrihoňová ha presentato un’interrogazione scritta alla Commissione Europea per chiarire se l’integrazione obbligatoria dell’assistente rispetti le regole in vigore.
Non è la prima volta che Meta deve confrontarsi con la rigidità del quadro normativo europeo. Già nel giugno 2024, il lancio dell’assistente era stato posticipato proprio per adattarsi alle leggi comunitarie.
Attualmente, la versione europea di Meta AI presenta funzionalità limitate rispetto a quelle disponibili in altre aree geografiche: non può generare immagini né memorizzare le conversazioni precedenti, e non è possibile attivarlo digitando “@Meta AI” nelle chat, come invece accade al di fuori dell’UE.
Meta si difende, ma i dubbi restano
Joshua Breckman, direttore delle comunicazioni internazionali di Meta, ha difeso la nuova funzione, paragonandola ad altre feature opzionali già presenti nelle app, sottolineando l’impegno dell’azienda per la tutela della privacy.
Tuttavia, la questione solleva un tema di fondo cruciale per i regolatori europei: fino a che punto una big tech può imporre funzionalità che influiscono sui diritti digitali senza offrire una via d’uscita chiara agli utenti?
Una battaglia per i diritti digitali
La risposta della Commissione Europea potrebbe avere un impatto duraturo, ponendo le basi per nuove regole in materia di trasparenza, controllo degli algoritmi e libertà di scelta degli utenti. Tu cosa ne pensi? Dicci la tua nei commenti.
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